Non si può essere sostenibili senza fare trasformazione digitale ma si può usare il digitale senza essere sostenibili.
È un concetto di importanza fondamentale che è stato messo in evidenza all’evento di SPS Italia, “Digital & Software (in programma lo scorso 24 Marzo a Fiorano Modenese presso Florim Gallery) dalla gestione del dato alla produzione di informazioni strutturate”.
Si è parlato di industria 5.0, nella quale sono posti al centro tre temi: resilienza, sostenibilità, essere umanocentrico. In questo contesto, il dato abilita la trasformazione lungo la filiera, la tecnologia è un driver, ma di fronte alla tecnologia va messo il valore aggiunto, poiché essa guida la nostra società ma sono l’uomo e la sua etica a definirla. In quest’ottica, essere sostenibili vuol dire digitalizzare una conoscenza che è non codificata, cioè trasferire il valore lungo la supply chain del dato che diventa digital value chain.
Per avere un processo data driven sono necessari cinque fattori che vengono moltiplicati tra loro: le persone, i servizi, i processi, le macchine e i tools, ovvero la data integration e la data fusion, l’integrazione dei dati da diversi ambienti e la sensoristica sulla macchina. Se anche solo uno di questi fattori è uguale a zero, tutto il prodotto si annulla.
Allo stesso tempo nella Digital Transformation si identificano tre assi: le esigenze dei clienti, le tendenze tecnologiche (processi guidati dai dati come Machine Learning, Artificial Intelligence, Cyber security) e le dinamiche di mercato.

Risulta, quindi, necessario trovare la posizione dell’azienda in funzione di queste tre variabili e di conseguenza prendere decisioni per intraprendere o portare avanti il processo di digitalizzazione.
Per attuare un processo di trasformazione digitale, inoltre, è necessario avere partnership e relazioni win-win. La mentalità attuale sta evolvendo verso una dinamica di filiera, poiché si è riscontrato che non è conveniente avere la conoscenza tutta all’interno. È necessario, invece, formare ecosistemi che possono essere di filiera, con realtà del territorio o con il mondo dedicato al trasferimento tecnologico. È fondamentale creare questa cultura aziendale per fare in modo che tutti i progetti di Industrial Iot siano scalabili, fattibili e ripetibili.
Poiché le tecnologie Iot consentono di registrare una quantità immane di dati, è necessario definire una strategia per riuscire a trasformarli in informazioni strutturate. Ne risultano nuovi modelli di business, nuove tipologie
di contratti, aumento della competitività, clienti maggiormente soddisfatti, migliore know how interno, riduzione dei costi di garanzia perché è possibile monitorare lo stato di funzionamento della macchina.
Attraverso il processo di servitizzazione, per esempio, si cerca di trasferire l’outcome verso il cliente finale. Ci si muove in ottica di Equipment as a Service, fornendo un servizio a valore aggiunto attorno all’apparecchiatura che si trova presso la sede del cliente. Viene fornita la propria tecnologia come servizio e si aiutano i clienti a raggiungere i loro risultati. L’obiettivo è ridurre le inefficienze dei processi, ottimizzare la produzione e ridurre il rischio operativo attraverso dei modelli assicurativi di gestione del rischio. Assicurando il rischio della macchina si può garantire un certo livello di uptime e presentare un’offerta differenziata sul mercato. In questo modo si rimuove il problema di gestione della macchina per il cliente finale e si ottiene un ROI, una maggiore fidelizzazione del cliente e vantaggio sui competitors che non offrono questi servizi.
Articolo by Ing. Irene Lusuardi